domenica 21 febbraio 2010

ANPI Nazionale: Relazione di Raimondo Ricci al Consiglio Nazionale 19-21 Febbraio 2010


Relazione del Presidente Raimondo Ricci
al Consiglio Nazionale ANPI
(Cervia – 19/21 Febbraio 2010)


Care compagne e cari compagni,
ritengo opportuno nell’introdurre questa riunione del Consiglio Nazionale dell’ANPI - organo consultivo della nostra Associazione previsto dall’art. 7 dello Statuto - partire da quanto è stato esaminato e discusso in questa sorta di attivo generale della nostra Associazione nella precedente riunione svolta in questo stesso comune di Cervia, circa un anno e tre mesi orsono.
Questo riferimento è utile per dare continuità all’impegno dell’ANPI di fronte a una situazione politica in movimento rispetto alla quale possono eventualmente essere necessarie nuove valutazioni ed eventuali conferme, aggiornamenti e persino modifiche dell’iniziativa associativa.
Non sono naturalmente in discussione le linee politiche generali alle quali la nostra Associazione deve ispirarsi nell’attuale gravissima fase che il nostro Paese attraversa; politiche che possono essere riassunte parafrasando le parole usate nel precedente Consiglio Nazionale di Cervia e ancor prima nella riunione del Comitato Nazionale del 4 giugno del 2008, parole che riprendono il dovere della nostra Associazione di intervenire politicamente al fine di garantire la vigile tutela dell’identità democratica del nostro Paese e l’attuazione dei principi fondamentali e delle regole affermati e codificati nella nostra Costituzione, splendido e lungimirante frutto della Lotta di Liberazione Nazionale contro i totalitarismi fascista e nazista.
L’ANPI, va ripetuto, non può e non deve trasformarsi in un partito politico, ma deve esercitare un ruolo di coscienza critica dei partiti, così di maggioranza come di opposizione, e del loro agire politico, essenzialmente nel senso del rispetto della nostra Carta fondamentale, a cominciare dai profili di trasparenza e correttezza che ne sono la fondamentale ispirazione.
Nell’anno 2008 abbiamo sottolineato la gravità della crisi economica generale e il suo grave impatto sui lavoratori, sulle loro famiglie, sui giovani, ponendo in luce l’irresponsabilità del governo nel minimizzare la situazione specialmente attraverso le dichiarazioni del premier; abbiamo criticato i provvedimenti in materia di sicurezza, di sistema formativo dei giovani (scuola e Università), del trattamento degli immigrati tale da aprire la strada a pulsioni razziste. Abbiamo criticato le iniziative del governo nella reiterata proposizione di leggi “ad personam” facenti leva sul sistema giustizia come nemico della politica. Abbiamo denunciato l’iniziativa della maggioranza di governo nella manipolazione della Costituzione per mutarne profondamente essenziali principi in direzione della trasformazione della nostra democrazia da sistema parlamentare in sistema autoritario.
Sotto questo ultimo profilo va ricordato e precisato che la nostra Associazione ha contribuito in modo concreto ed efficace ad annullare, attraverso il referendum del 25-26 Giugno 2006, lo stravolgimento costituzionale operato a livello parlamentare in modo unilaterale dalla maggioranza di centrodestra; uno stravolgimento essenzialmente fondato sull’indebolimento o sotto alcuni aspetti la vera e propria delegittimazione delle istituzioni di garanzia e controllo previste dalla nostra Carta fondamentale.

A distanza di poco più di un anno dalla precedente riunione del Consiglio Nazionale possiamo affermare che la realtà italiana è ulteriormente peggiorata in modo tale che oggi ci troviamo in una gravissima situazione avviata verso un graduale mutamento di regime.
Situazione nella quale non sono certo edificanti le vicende relative a comportamenti personali del premier che non si addicono a chi esercita alte funzioni direttive in un sistema che come quello democratico deve per sua natura essere trasparente ed esemplare, tanto che in altre democrazie più antiche e consolidate della nostra, situazioni analoghe avrebbero comportato, e in alcuni casi hanno comportato, la necessità di dimissioni; ma anche a tralasciare questo aspetto della realtà politica del nostro Paese, ci troviamo oggi in presenza di iniziative e attività di governo che ulteriormente segnalano una deriva che sempre più si allontana dal perseguimento di quel bene comune e responsabile della nostra comunità nazionale che dovrebbe essere perseguito nelle forme e nei limiti della Costituzione vigente, forme e limiti che soprattutto in un momento grave e difficile come quello che, a causa della crisi globale, il mondo intero sta attraversando, si rendono particolarmente necessari.
Desidero essenzialmente riferirmi a due questioni fondamentali: quella del lavoro che vede il progredire di una drammatica crisi in vasti strati della popolazione italiana e quella dei rapporti tra giustizia e politica sui quali sono radicati i fondamenti stessi dello stato di diritto.
Nel sempre più virulento attacco del governo alla Costituzione, non è stato dimenticato nemmeno il tema del lavoro se si pensa che un ministro della Repubblica, ripeto un ministro della Repubblica, ha osato mettere in discussione persino l’articolo 1 della Costituzione stessa, da sempre e da tutti i cittadini considerato sacro e inviolabile. Con una leggerezza degna di miglior causa, il ministro Brunetta ne ha sostenuto la vacuità e ha avanzato la proposta di modificare il principio “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Questa temerarietà non deve sorprendere se si considera che questo governo e lo schieramento politico che lo sostiene non solo non hanno mai mostrato alcuna attenzione ai ceti più deboli ma hanno promosso la mercificazione del lavoro e tutelato per contro i grandi patrimoni. Infatti da un lato la legislazione sul lavoro e i comportamenti conseguenti hanno assecondato il diffondersi del precariato, dall’altro la legislazione fiscale, segnatamente provvedimenti come lo scudo fiscale, ha favorito gli evasori e i detentori di redditi cospicui. Anche il proposito annunciato di riformare la tassazione dei redditi, introducendo due sole aliquote va in questa stessa direzione.
L’inconsistenza dell’iniziativa di governo di fronte all’incalzare della crisi, ancor più la reiterata negazione della sua stessa esistenza, stanno producendo ferite gravissime nel tessuto sociale attraversato da difficoltà crescenti che stanno toccando livelli di drammaticità fino ad oggi sconosciuti.

Il crac finanziario internazionale, lungi dall’aver esaurito i suoi effetti, si ribalta sull’economia reale e trova il nostro Paese del tutto impreparato sul fronte del sostegno alle imprese, specie di piccole dimensioni, e soprattutto sul fronte della difesa del lavoro e dei lavoratori. I dati sono sempre più preoccupanti: oltre 2 milioni di disoccupati, una percentuale che è tornata sopra le due cifre, un ricorso alla cassa integrazione che ha raggiunto dimensioni impressionati, ma soprattutto i giovani alla ricerca di prima occupazione, in particolare al Sud, in condizioni disperate, del tutto privi di prospettive e speranze. Non possiamo non manifestare allarme per la tenuta del quadro sociale e la disgregazione di un capitale umano e di un tessuto occupazionale che rappresentano o dovrebbero rappresentare proprio il “fondamento” della nostra Repubblica in forza di quella Costituzione che non a caso si vorrebbe violentare.
Naturalmente vogliamo esprimere la nostra solidarietà ai lavoratori e alle famiglie che si battono, anche attraverso forme di protesta inusuali e disperate, per evitare la chiusura delle fabbriche. E naturalmente siamo vicini alle molte famiglie colpite dal lutto a causa dell’inarrestabile dramma degli infortuni sul lavoro, cui si sono aggiunti di recente casi di gesti estremi a causa della perdita del lavoro, a dimostrazione del fatto che si stanno superando i limiti di guardia. Quel che più preoccupa è l’indifferenza del governo, la sua incapacità di “leggere” la situazione, di capire i drammi umani che stanno attraversando il Paese, il crogiolarsi nella falsa affermazione che “il peggio è passato” che tutto si risolve se si torna a “consumare”, se si torna ad avere fiducia come se la fiducia non dovesse essere il risultato dell’iniziativa politica ma un ingrediente di natura mediatica. Ma quale fiducia possono avere i lavoratori, quale speranza i giovani di fronte all’assoluta assenza di un progetto sul presente e sul futuro? Un progetto che oggi più che mai, lo diciamo con forza noi che siamo avanti negli gli anni, dovrebbe essere basato su un patto di solidarietà tra le generazioni e su una coesione sociale che propone come obiettivo principale la difesa delle classi deboli e l’affermazione della giustizia sociale. Ci domandiamo se su tutti questi aspetti non sia necessario un vero e proprio risveglio delle coscienze tale da rendere tutti i cittadini italiani, donne e uomini, anziani e giovani, consapevoli del degrado verso il quale sta andando la nostra collettività nazionale e quindi della necessità di recuperare quei valori di solidarietà e di coesione sociale, quella capacità di conoscere ed interpretare al di là delle strumentali rappresentazioni mediatiche alle quali questo governo di centro destra ricorre, l’essenza vera della profonda crisi che l’intera nazione sta vivendo.

Siamo di fronte ad una crisi di regime dalla quale si esce o recuperando i valori della Costituzione o con una rottura i cui esiti non sono prevedibili ma comunque comportano un mutamento di regime.
Questa realtà appare in tutta la sua evidenza nei problemi del lavoro che hanno una indiscutibile valenza sociale accanto ai quali vanno presi in esame quelli riguardanti il rapporto che questa destra intende stabilire tra potere politico e giustizia.
L’anno appena trascorso ha purtroppo visto accentuarsi - e raggiungere livelli allarmanti - la già preoccupante deriva che ormai da tempo coinvolge tutte le istituzioni di garanzia del Paese - prima di ogni altra la giurisdizione - e corrode i fondamenti dello stato di diritto delineati dalla Costituzione repubblicana.
Due vicende emblematiche valgono per tutte.
Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano in composizione monocratica ha condannato la Fininvest a risarcire alla Cir i danni sofferti per la corruzione del giudice Metta ed il conseguente condizionamento del giudizio relativo al cosiddetto Lodo Mondatori. A tale sentenza ha fatto seguito un’aggressione mediatica senza precedenti nei confronti del giudice, pesantemente attaccato sul piano personale dal presidente del Consiglio - dominus della Fininvest e quindi parte soccombente in giudizio - additato come versore dai capigruppo parlamentari della maggioranza, proposto infine come vero e proprio bersaglio - con indicazione di indirizzo e numero di telefono - da un quotidiano di proprietà della famiglia del premier, fatto infine oggetto di pedinamento con conseguente servizio televisivo gratuitamente irridente e offensivo da parte di una rete televisiva anch’essa di proprietà del premier.
A nessuno può sfuggire il chiaro intento intimidatorio di questa campagna: siano avvertiti i giudici dei gradi successivi di giudizio e quelli che per disavventura dovessero essere preposti ad analoghi processi. Ecco cosa accadrà loro in caso di decisioni “sgradite”.
Trascorrono pochi giorni e la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 262, dichiara l’illegittimità del cosiddetto Lodo Alfano. Appena appreso il verdetto, il presidente del Consiglio accusa la Corte di aver agito per fini di parte, violando spudoratamente anche il segreto della camera di consiglio, e contestando addirittura il Capo dello Stato per non aver fatto pressioni sufficienti sui giudici.
Come conseguenza delle sentenze sopra citate, si è scatenata una pretesa campagna riformatrice della giustizia penale e dell’ordinamento giudiziario il cui vero obiettivo è quello di liberare il presidente del Consiglio dai suoi guai giudiziari, mentre sul piano dell’efficienza del servizio giustizia e della tutela dei cittadini gli interventi proposti non sono solo incongrui ma devastanti in rapporto alle questioni reali.
In tale ambito rientrano la prospettata drastica limitazione delle intercettazioni ambientali e telefoniche di cui - a prescindere dalla riduzione delle ipotesi di reato che le consentono - si snatura totalmente la funzione, rendendole sostanzialmente strumento di conferma di prove già acquisite piuttosto che veicolo di ricerca delle prove; così come gli irragionevoli limiti alla discrezionalità del giudice nella direzione del processo con particolare riguardo all’ammissione dei mezzi di prova; la trasformazione del pubblico ministero in avvocato della polizia cui è precluso ogni potere di iniziativa nella ricerca delle notizie di reato; l’aumento delle possibilità di ricusazione del giudice.
Addirittura devastante - poi - per l’intero impianto del processo penale si profila il disegno di legge sul cosiddetto processo breve, di recente approvato al Senato. Solo una massiccia dose di superficialità può far ritenere tale riforma l’attuazione dei principi di cui al novellato art. 111 della Costituzione. In realtà le norme transitorie - sulla cui costituzionalità sono stati avanzati autorevoli dubbi - comporterebbe la certezza dell’estinzione dei più delicati procedimenti pendenti in tema di criminalità economica, pubblica amministrazione ed infortunistica sul lavoro. Si tratterebbe - in buona sostanza - di una vera e propria amnistia mascherata, ricomprendente anche reati che abitualmente - per il loro impatto sociale - sono sempre stati esclusi da tale provvedimento di clemenza. Prevedibilmente, inoltre, la denegata giustizia per molte persone offese nel settore penale darebbe luogo ad un sensibile aumento del già inflazionato contenzioso civile.
A regime la nuova normativa determinerebbe inevitabilmente un’accentuata discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale ben lontana – quindi - dal modello delineato dall’art. 112 della Costituzione in forza del quale l’iniziativa penale è obbligatoria.
Ancora una volta, invece di profondere ogni impegno possibile affinché la giustizia possa essere amministrata nel solco dei principi costituzionali, si scelgono soluzioni lontane da tali principi.
Sempre più il processo penale diverrebbe funzionale alla sola soppressione della devianza marginale mentre mostrerebbe la sua inadeguatezza a fronteggiare i diffusi fenomeni di illegalità che permeano settori rilevanti dell’economia e delle pubblica amministrazione.

In tale contesto si profilano come assolutamente inquietanti i ricorrenti tentativi di delegittimazione delle doverose iniziative della magistratura requirente volte al controllo della legalità dell’operato dei pubblici poteri. È inammissibile che il capo dell’esecutivo possa sostenere che i magistrati, in quanto pubblici dipendenti pagati con i soldi del contribuente, non siano tenuti a indagare su vicende relative agli appalti per le grandi opere pubbliche e che addirittura si profilino provvedimenti legislativi che stabiliscono la sospensione dei procedimenti pendenti e il divieto di riaprire procedimenti penali nei confronti delle strutture commissariali dell’emergenza che fanno capo al governo, come di recente si è verificato in relazione alle inchieste che vedono coinvolti alti funzionari della Protezione civile. Appare evidente dunque che ci troviamo nel pieno di una deriva autoritaria del tutto configgente con i principi dello stato di diritto.
Alla luce delle considerazioni svolte, cui molte altre concomitanti potrebbero aggiungersi entrando maggiormente nel dettaglio, che quasi ogni giorno la realtà pone sotto i nostri occhi, emerge un quadro negativo che non può rimanere senza risposta da parte del nostro popolo a pena di degrado e di imbarbarimento. Io desidero quindi concludere questa mia relazione inviando un appello a tutti coloro, partigiani e antifascisti, anziani e giovani, che militano nella nostra Associazione affinché si rendano, affinché tutti insieme ci rendiamo, in modo fraterno e condiviso, sempre più consapevoli del ruolo che possiamo svolgere nell’interesse della nostra Patria e dell’Unione Europea di cui essa fu uno degli stati fondatori. La nostra interna unità, il nostro impegno comune e condiviso sono fattori indispensabili e determinanti per il successo del ruolo che intendiamo svolgere. Sono convinto che nessuno di noi ritiene di dover esercitare questo ruolo in vista di vantaggi o privilegi personali: così come è stato quando abbiamo deciso di entrare nelle file della Resistenza, e quando i più giovani hanno deciso di entrare a far parte dell’Anpi perché condividono gli ideali e i valori della Lotta di Liberazione Nazionale, che ci ha motivato e ci motiva oggi, ideali e valori che sono il bene e il progresso della nostra Patria, con sentire comune che non vuole ricompense.
Per questo nei tempi della violenza e della guerra hanno donato la propria vita tanti compagni e compagne. Il nostro impegno deve svolgersi nelle forme della democrazia, della persuasione, dell’appello alla verità e al senso della nostra storia. Condanniamo ogni ricorso alla violenza come abbiamo dimostrato, ad esempio, associandoci senza se e senza ma alla condanna dell’aggressione fisica compiuta nello scorso dicembre a Milano nei confronti di Berlusconi.
Noi siamo convinti che con la politica di questa destra che fa ormai da anni, in modo sempre più spregiudicato, del populismo il proprio strumento e dell’autoritarismo il proprio traguardo, non sono possibili né auspicabili compromessi che sarebbero comunque destinati a cocenti delusioni.
Intendiamo invece rivolgerci alla coscienza critica di tutti gli Italiani, e anche a coloro che militano al centrodestra ma non sono insensibili ai richiami di una democrazia compiuta affinché diano un contributo concreto alla creazione, alla maturazione, di un’alternativa di governo.
In questo impegno deve accompagnarci nonostante tutto, la concreta possibilità di prospettiva di un successo. Il mondo della cultura, i maggiori esponenti dell’università e della ricerca, le personalità che comunque costituiscono l’intellighenzia del nostro paese non solo deprecano la situazione in cui versa la politica in Italia, ma fanno spesso sentire la propria voce per denunciare i rischi di involuzione che ci minacciano. Il Presidente della Repubblica che interpreta con assoluto rigore il ruolo che la Costituzione gli attribuisce è un punto di riferimento fondamentale nel porre argine allo stravolgimento della nostra democrazia, e tutto ciò costituisce motivo di fiducia.

Tocca ora ai partiti di opposizione che incarnano diverse sensibilità e visioni politiche di trovare le ragioni della propria unità come strumento indispensabile per salvare l’Italia e ricondurla sulla strada maestra del rispetto e dell’attuazione costituzionale.
È nostra intenzione dare un contributo a questa prospettiva, a cominciare dal sostegno delle forze progressiste nelle prossime imminenti elezioni regionali e, subito dopo di esse, a livello più generale dell’intero nostro paese, chiamando alla partecipazione tutte le energie positive della nostra Patria.
Da tempo è in atto da parte della nostra Associazione l’impegno a farne un soggetto politico capace di dare un contributo significativo per affrontare positivamente la situazione che ci sovrasta, a questo scopo sono state adottate le decisioni prese nella Conferenza organizzativa di Chianciano. Ciò è avvenuto perché non ci appartiene l’illusione di poter contribuire al superamento dell’attuale crisi attraverso semplici petizioni di principio e manifestazione di intenzioni, che potrebbero rappresentare soltanto un sogno, ma siamo del tutto consapevoli, sulla base dell’esperienza della lotta che abbiamo condotto, non solo durante la fase storica della Liberazione nazionale ma anche dei decenni a essa successivi, che occorre attuare iniziative concrete che riescano a incidere sulla sensibilità e sul patriottismo della maggior parte del nostro popolo, operando quel risveglio delle coscienze al quale abbiamo fatto riferimento.

Una “nuova stagione” dell’ANPI è in costruzione, lo abbiamo detto e lo ribadiamo.
Diverse ANPI hanno visto così un loro forte rilancio come quella di Pistoia. Nel giugno scorso non avevamo iscritti in 3 regioni ed in 29 Province del Sud soprattutto. Ora ne abbiamo in tutte le regioni d’Italia. E in 12 province, delle 29 in cui l’ANPI a giugno non c’era, è in corso il tesseramento. Si sta poi operando per costituire i Comitati Provinciali e le Sezioni. Ovunque, anche nel Sud, stanno emergendo energie antifasciste e democratiche, come dimostrano le riunioni dei coordinamenti regionali già svolte in Sicilia, Campania, Puglia e Abruzzo.
L’obbiettivo di raggiungere entro il prossimo Congresso Nazionale i 150mila iscritti è possibile. Ciò costituisce soltanto un primo risultato dopo quella modifica statutaria con la quale nel 2006 abbiamo ufficialmente aperto le porte della nostra Associazione, a determinate condizioni, anche alle forze giovanili.
Sulle concrete prospettive qui delineate porterà un sintetico contributo la nostra Segreteria nazionale attraverso il programmato intervento di Luciano Guerzoni.
Momento importante di bilancio e rilancio compiuto dell’ANPI sarà infine costituito dai lavori del nostro prossimo Congresso Nazionale dell’Associazione, che il nostro Comitato Nazionale ritiene debba svolgersi nella prima metà di febbraio 2011, onde consentire un’adeguata preparazione di questo nostro fondamentale appuntamento. Chiediamo al Consiglio Nazionale di esprimersi consultivamente su questa prospettiva.
A nome del Comitato Nazionale chiudo questa mia relazione con l’augurio e la fiducia che la memoria dell’esperienza vissuta intorno alla metà del secolo scorso, e oltre, di cui noi siamo testimoni e custodi, costituisca, nei suoi esiti positivi, il ritrovato punto di riferimento per il presente e il futuro dell’Italia.

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